universale e particolare

«Esistono gli universali oppure esistono solo le cose singolari? mi sembra la domanda a cui Guglielmo [di Occam] ha dedicato gran parte della sua vita. Ritengo che sia un interrogativo affascinante: ogni cosa è un'entità individuale - e in tal caso ciò che di una cosa è simile a un'altra è solo un'illusione o un effetto del linguaggio, che procede per parole e concetti, per proprietà generali che designano e comprendono più cose individuali - oppure esistono realmente forme universali di cui le cose singolari partecipano e che non sono semplici fatti del linguaggio? Quando noi diciamo "un tavolo", mentre pronunciamo il nome tavolo, mentre ci formiamo il concetto del tavolo, indichiamo solo questo tavolo oppure rimandiamo realmente a un'entità tavolo universale che fonda la realtà di tutti i tavoli esistenti? L'idea del tavolo è reale o appartiene soltanto alla mente? In tal caso, perché certi oggetti sono simili? È il linguaggio a raggrupparli artificialmente e per comodità dell'intelletto umano in categorie universali, oppure esiste una forma universale di cui ogni forma specifica partecipa? Per Guglielmo, le cose sono singolari e la realtà degli universali è erronea. Esistono unicamente realtà individuali, l'universalità è propria della mente, e supporre l'esistenza di realtà generiche significa solo complicare ciò che è semplice. Ma ne siamo poi così sicuri? Quale congruenza tra un Raffaello e un Vermeer?, chiedevo ieri sera. L'occhio vi riconosce una forma comune di cui partecipano entrambi, quella della Bellezza. Personalmente credo che in quella forma debba esserci qualcosa di reale e che essa non sia un semplice espediente dell'anima umana che classifica per capire, che discrimina per cogliere, giacché non si può classificare niente che non sia classificabile, né raggruppare niente che non sia raggruppabile, né unire niente che non sia unibile. Un tavolo non sarà mai una Vista di Delft: la mente umana non può creare questa dissomiglianza, così come non ha il potere di generare la solidarietà profonda che lega una natura morta olandese e una Vergine col Bambino italiana. Esattamente come ogni tavolo partecipa di un'essenza che le imprime una forma, così ogni opera d'arte partecipa di una forma universale, la sola che può darle questa impronta. Certo, noi non percepiamo direttamente questa eternità: è uno dei motivi per cui tanti filosofi sono stati restii a considerare reali le essenze, in quanto io vedo sempre e solo il tavolo presente e non la forma universale tavolo, solo questo quadro e non l'essenza stessa del Bello. Eppure... eppure, essa è qui, davanti ai nostri occhi: ogni quadro di un maestro olandese ne è un'incarnazione, un'apparizione folgorante che noi possiamo contemplare unicamente attraverso l'individuale e che tuttavia ci dà accesso all'eternità, all'atemporalità di una forma sublime. L'eternità, questo invisibile che noi vediamo.» (L'eleganza del riccio, p. 243-244)

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